L'estrema sintesi dell'articolo è la seguente: D&D nasce come sistema skilless (senza skill) e poi sulla scia di quelli che ce le avevano (GURPS, Call of Cthulhu) le ha pian piano introdotte. L'autore pensa che le skill siano un ottimo strumento di gioco sia per motivi di immersione nel gioco sia come sistema per capire se qualcuno ha successo facendo qualcosa.
Io non sono così d'accordo sul fatto che le skill siano così immersive per il roleplay. Il problema del roleplay è che un giocatore abituato a ruolare parecchio, potrebbe superare i limiti imposti dal suo PG. Ad esempio un personaggio con cha 10 potrebbe, parlando con un PNG, usare argomentazioni molto convincenti che corrispondono al carisma del giocatore che magari è maggiore di 10.
Per un master è veramente brutto interrompere una bella giocata di roleplay per dire: "Devi fare un check di diplomacy per vedere se sei convincente!". Dopo questo tutto trascende e diventa grottesco, anche perchè al tavolo il DM e i giocatori sanno che il giocatore è stato convincente, come aggiustare la situazione in caso di fallimento?
In generale le skill hanno tre qualità in se:
- Sono qualitative: in base al loro punteggio qualificano le cose che un PG sa fare bene e le cose che un PG sa fare male
- Sono passive: stanno quindi dietro alle situazioni di gioco di ruolo e tattico, anche quando non esplicitamente dichiarate
- Sono attive: possono essere usate dal giocatore per avere successo in qualcosa.
Il Master ha il compito di fare sì che il giocatore sia consapevole di questa sua responsabilità e alle volte è costretto a rompere il roleplay per far fare dei tiri ai PG.
Il gioco di ruolo è una narrazzione cooperativa e vanno spinti i giocatori a farlo. Per questo motivo si può utilizzare un escamotage interessante, tirare il check prima della scena di roleplay.
Supponiamo che il ladro del gruppo entra in una stanza, tira un dado di Perception e fa 20, il master sa che ha avuto un ottimo successo e attende la descrizione del giocatore sulle sue intenzioni. Il giocatore sa che il suo ladro può agire al massimo e dice: "Entro nella stanza, muovo la testa veloce in tutte le direzioni, i miei occhi memorizzano ogni dettaglio, ogni singolo anfratto. Mi sposto per fugare ogni dubbio su ogni stranezza che noto, niente potrebbe sfuggire al mio controllo". Il master a questo punto può aggiungere: "i tuoi occhi si soffermano sul letto, il cuscino sembra in una posizione strana, lo vuoi sollevare?". Il tiro di dado iniziale ha permesso di gestire la ricerca senza interrompere il role play. Allo stesso modo un tiro di 1 potrebbe far cambiare la frase al ladro: "Entro nella stanza e muovo la testa velocemente, decisamente tutto è a posto. Mi volto sorridente verso i miei compagni: «Inutile indugiare oltre, qui non c'è niente di interessante.»"
Se il tiro viene fatto dopo la descrizione sarebbe brutto avere un ladro che dice la prima frase e poi tira 1.
C'è da dire che il meccanismo di skill challenge non aiuta molto. E' proprio il forte legame tra skill e roleplay che impedisce ad un regolamento di imbrigliare in una sistema l'uso delle skill. Va da se che le skill challenge sono delle linee guida che possono servire a qugli scrittori di avventura che non sanno come impostare questo tipo di incontro, per questo io suggerisco a tutti i master di essere flessibili.
In ultima analisi, alcuni ritengono che D&D sia un gioco in cui il regolamento non spinga a fare roleplay e per questo adducono che sia colpa della mancanza di ricompense per chi fa roleplay. Tra le house rule più comuni in questo contesto ci sono:
- Dare gli action point solo per buon roleplay
- Dare dei bonus point per il role play (punti da usare per dare un +1 ad un qualunque check)
Il mio suggerimento in questo ambito è di dare dei premi di roleplay ai giocatori che fanno roleplay, ad esempio creando sottotrame ad hoc come premio o PNG pensati proprio per loro.
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