Nel thread di enworld viene descritto il processo di miglioramento al tavolo derivante dal sapere condividere la propria tipologia di giocatore secondo le idee di Robin laws
che ho citato nel post di qualche giorno fa (preparazione o improvvisazione).
Il messaggio iniziale del thread è molto centrato sul ruolo del master e sul gruppo e in somma sintesi dice più o meno questo: se sono un giocatore di un tipo particolare è normale per me tendere a creare situazioni relative al mio tipo, questo non significa che gli altri giocatori le sappiano apprezzare o approcciare nel modo che mi aspetto.
Il termine interessante e che per me diventerà da ora innanzi un termine tecnico con tutti i crismi, che ha usato l'autore di quella discussione è: design basato sullo slancio emotivo.
Il modello da lui espresso è semplice, occorre sedersi al tavolo e fa ricadere con sincerità e apertura mentale il proprio stile di gioco nella categoria che meglio si adatta. Sono un casual gamer, un tactian, uno storyteller? A questo punto, scoperto e condivso la tipologia tra i giocatori lo scrittore dell'avventura potrà cercare di stimolare le aspettative dei giocatori per passare dal giocare buone avventure al giocare strepitose avventure.
La visione però dell'autore del messaggio sul forum, mi sembra un po' limitata, egli riconosce al solo DM l'obbligo di contribuire alla storia, mentre io nel post di un anno fa (consigli BG, interpretazione e tecnica per i tipi di D&D) già suggerivo ai giocatori di prendersi la loro parte di responsabilità. Quello che deve essere una sessione è l'unione del lavoro di tutti per cercare di creare belle sessioni di gioco e amicizia. Ogni giocatore dovrebbe preoccuparsi, prima di divertirsi, di far divertire gli altri.
Questo è il punto fondamentale del discorso. E per poter far divertire i miei compagni devo intuire cosa a loro piace fare, quando è il momento di giocare per loro e quando è invece il momento di giocare per me. E, non ultimo, quando è il momento di giocare per il master.
Non avete idea di quanto questo discorso così slegato del tema possa essere applicato ad alcuni post espressi nel forum di gente che gioca al thread Mai più D&D perchè?.
Invito i lettori a dargli un'occhiata perchè ci sono alcuni post veramente ispirati e belli. prima di esprimere le mie considerazioni su alcune parti della discussione che non mi sono piaciute, voglio premettere il contesto in cui sono finito lì.
Come ho avuto modo di descrivere in questo blog, con l'accrescersi degli impegni che la vita porta, diventa sempre più difficile per me sobbarcarmi il lavoro del master di dungeons and dragons questo per il semplice fatto che è un gioco che richiede molta preparazione. Per questo motivo, con non molta voglia, sto seriamente prendendo in considerazione l'idea di abbandonare D&D per un altro sistema. Così ho cercato su google qualche alternativa e sono finito sul quella bella discussione.
Io credo che la somma sintesi del discorso sia espressa in queste parole:
La riuscita di una partita (Tradizionale o Indie) è al 80% sulla fortuna di trovarti al tavolo con gente che è più o meno sulla stessa lunghezza d'onda. Nessun regolamento può metterti al riparo da una partita rovinata da attention whores, drama kings, power players etc. Solo il buon senso (e un briciolo di maturità) possono farti aprire gli occhi, per questo stesso motivo trovo noiosissimo il muro del pianto che si leva ogni volta che, come cuccioli feriti, si guarda alle proprie origini ludiche "tradizionali" come traumatiche.Mi rendo conto di quanto sono stato fortunato io, perchè di grossi problemi sull'andare d'accordo non ne ho avuti nella mia esperienza di gioco. C'è da dire che avere un master che viene usato anche come giudice può essere la giusta situazione per dipanare antipatie che si formano al tavolo. Mi è capitato una volta di avere un giocatore che non volesse giocare con un altro e alla fine ho preteso che si chiarissero (solo grazie al fatto che in qualche modo essere il master mi aveva concesso l'autorità per decidere chi giocava o no, che tra l'altro non dovrei avere).
Shit happens.Ci si fa un sacco di pippe sul safe/unsafe, ma tanto siamo sempre in un ambito (il gioco) che tra tutte le esperienze umane è il più safe di tutti, perché in qualsiasi momento puoi uscirne, rifiutarne o cambiarne le regole e non ci sono ripercussioni reali.
Voglio elencare alcune frasi emblematiche che mi hanno fatto saltare dalla sedia, perchè non trovo concepibile che si possa litigare per un gioco:
- mi rompe le scatole fare le tattiche, mi rompe tirare dadi sempre e di continuo e mi rompe quando devo sentirmi in colpa perché parlo con un png quando gli altri vogliono andare a mostri
- ho sempre paura di rovinare la giocata agli altri
- Per cui abbiamo provato a fare lo stesso con gli altri. Ma erano una nota stonata. [...] le sinergie non potranno mai essere perfette
- Semplicemente non stavamo giocando tutti lo stesso gioco.
- Ma non sa combattere e viene isolato dagli altri PG, che non lo vogliono con sé
- Io mi annoio a morte. Lo dico al mio amico, che è, ripeto, un amico fraterno e lui se ne risente, come se gli avessi detto che non è un bravo master... [...]
In questi casi la colpa è stata data ad un gioco, ma probabilmente era un problema di rapporto sociale.
Quando tutte le persone al tavolo lavorano per un design basato sullo slancio emotivo, le sessioni, in qualunque gioco saranno sempre straordinarie per tutti. Ma per farlo è necessario che i giocatori facciano un passo in più nella loro crescita interiore.
Un post che mi ha commosso, con ogni nuovo gruppo esordisco con un discorso simile proprio per tastare il terreno e capire se si e' sulla cosiddetta stessa lunghezza d'onda. Concordo sul fatto che si tratti di un problema di rapporti sociali, dell'incapacita' di percepirsi come parte di un gruppo un po' come da bambini giocando a calcio si trovava sempre il cosiddetto "solista" che la palla non la mollava mai. Purtroppo molti giocatori non percepiscono questo problema, e raramente portarlo all'attenzione degli altri sortisce effetti positivi: nella quasi totalita' dei casi nella mia esperienza genera animosita' e contrasti perche' il discorso viene erroneamente percepito come un giudizio di valore nei confronti della persona, quando invece non lo e'. Molto ironicamente un gruppo si e' sfasciato sotto i miei stessi occhi proprio durante questo genere di discorso, dove i giocatori hanno iniziato a rinfacciarsi l'un l'altro il fatto che gli altri avevano esigenze diverse dal gioco: c'e' chi voleva un gioco basato piu' sull'azione, chi invece preferiva un approccio piu' diplomatico, e si e' giunti all'aperto insulto in meno di cinque minuti. Io, che stavo proprio valutando se entrare a far parte di quel gruppo, con molto garbo ho declinato la possibilita' ma ho ottenuto dall'esperienza una maggiore consapevolezza di quanto sia importante giocare con persone che comprendono il significato di "stare in gruppo". Purtroppo c'e' anche chi in qualche modo giustifica questo atteggiamento egoista, dichiarando che se tale e' l'ambiente e' necessario "sgomitare" per emergere e far valere la propria visione in un parallelo con quella che e' la vita quotidiana, soprattutto lavorativa; il GdR come esperienza "pedagogica" di preparazione alla vita di tutti i giorni.
RispondiEliminabel post, anche quello sul bg e interpretazione, in genere cmq è più il ruolo del giocatore che quello del master che deve essere storicamente chiarito in D&D, l'idea del master che prepara le sessioni in base al "senso" dei giocatori è un cosa normale, ci sono paginate e paginate sui manuali appositi che spiegano come creare del bel gioco, catturare i giocatori etc, ma non ci sono regole ne consigli per i giocatori sui vari manuali se non brevi richiami, e questo è una delle pecche di D&D a mio parere, il non far affrontare al gruppo nella sua totalità l'aspetto sociale della questione
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